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IL DESIGN DELLA T

I prodotti industriali di massa dovrebbero nascere e spesso nascono da un processo razionale che contempla le varie fasi di sviluppo e ingegnerizzazione che s'imparano nei corsi di management.

Poi -nella pratica- questi prodotti escono sul mercato e cominciano a muoversi autonomamente, come fanno certe composizioni aleatorie di John Cage (quel musicista che a Milano, una volta, utilizzò l'intera platea come orchestra).

Il progetto della macchina “T” era imperniato su una macchina erogatrice di bevande calde in capsule mono-uso che non fosse solo pratica e compatta, ma che esprimesse con il suo design l'eccellenza e l'ampiezza della gamma di bevande erogate, una delle più ampie disponibili al mondo: dal caffè al cappuccino, ai tè, alla cioccolata.

Dopo poche settimane dall’incarico, Massimo Iosa Ghini aveva inventato una giungla di proposte afose e bolidiste: teste di cobra, jukebox stile anni cinquanta, un vaso di fiori, perfino un missile. Tra tutte una silenziosamente risaltava tra le altre.

Era una specie di castello, stile Metropolis di Fritz Lang: gotico, grigiastro ma con una curiosa antenna arancione che schizzava fuori da un lato. Quel castello sarebbe diventato un dispenser professionale di bevande calde. In una lettera: la “T”.

Chi la usa, oggi, dice che la “T” assomiglia a Macchia Nera o ad un animale –un pinguino, un cetaceo- persino ad un angelo. In generale è amore a prima vista.

Tutti sembrano particolarmente apprezzare quella sorta di cupola che le fa da cappello: è leggermente riscaldata (la caldaia è lì sotto) e dolcemente arrotondata. Tutti l'accarezzano, mentre si fanno il caffè.

In effetti sembra fatta apposta per questo; chiaramente nessuno di noi ci aveva pensato prima: mica si fanno le macchinette da caffè per accarezzarle, no?

(Cliccate qui per vedere lo schizzo citato nel testo)