Tutto Espresso
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TOTEM DI TUTTO

(Intervista raccolta e pubblicata da www.Comunicaffè.com il 29 aprile 2010)


MILANO - Progettare e costruire una macchina per il caffè bella sembra facile ma non lo è. La folla di macchine brutte lo conferma. Questo perché, in vista di nuovi modelli, emergono sempre pesanti condizionamenti tecnici ed economici.

Quindi trovare una macchina anche originale è ancora più difficile. Soprattutto se la segnalazione non viene da premi acquistati ma da un concorso bandito da un Istituzione degli Stati Uniti.

Perchè Good Design ha premiato negli ultimi 50 anni gli architetti più famosi ed oggi questo premio del Chicago Athenaeum museum of architecture and design ha premiato per l’eccellenza del progetto una macchina italiana: la Totem.

Abbiamo parlato con l’architetto Angelo Micheli che ha formato la Totem della Tuttoespresso di Luca Majer.

Comunicaffè: Considera la sua macchina, la Totem, la più bella che c’è, sempre che il concetto di bello abbia un senso?

Angelo Micheli: “Che sia la più bella non sta a me dirlo. Per me, come progetto, è la più bella. Ma è un parere personale e interessato”.

CC: Quando l’ha progettata?

AM: “E’ successo tutto nel marzo del 2008. Ricordo bene quando ne parlai la prima volta con Luca Majer che in seguito a quel colloquio mi chiese di progettare una macchina per il caffè che fosse anche un po’ simbolica, con qualche riferimento storico. Come erano le vecchie macchine per il caffè, dei primi del ‘900 con l’aquila o altri simboli. Poi abbiamo pensato anche a quella di Giò Ponti che divenne un simbolo. Cominciai a riflettere. Passata qualche settimana Majer mi chiese conto. Risposi che ci stavo pensando. In quei giorni ero in Francia. Era un giorno nuvoloso. Approfittai di una giornata grigia e mi venne l’idea di una macchina-totem. Abbastanza piccola: io l’ho sempre chiamata Totemina. Si trattava di trovare un segno che simboleggiasse un totem, ma con forme più morbide, linee proporzionate e con qualche stravaganza di forma.
Il primo pensiero andò alle vecchie macchine. Quelle di forma cilindrica, sviluppati in verticale e non in orizzontale. Immancabile l’aquila in alto. Ma non era possibile rifare una macchina su quello stile. Però mi stimolava quell’idea, quella forma”

CC: Qualcuno che rifà l’aquila, e con successo, c’è.

AM: “Certo. Ma la mia scelta fu di disegnare una macchina snella e con un simbolo che avesse un suo significato, riconoscibile. Invece di essere tonda ha una pianta ovale. Una forma che permette due facce diverse. Una più tonda e l’altra più sottile. Si ha subito l’idea che questa macchina sia uguale da tutte le parti la si guardi. Questo era già una buona idea da sviluppare. Poi il simbolo, questo piccolo albero che ha due funzioni. La prima è quella di simbolo, la seconda è quella di ospitare le tazzine in una zona dove c’è del calore che le può riscaldare prima dell’uso. Altra cosa bella è che casa la macchina cambia in base al colore delle tazze. E se le tazze sono decorate con rose diventa un albero di rose o di margherita”.

CC: Come nacque un’idea così originale, mai vista nei primi cento anni di macchine per il caffè?

AM: “Ho pensato ai radiatori delle moto, con tutte le sfaccettature per raffreddare il motore. Allora questo alberello doveva prendere il calore dalla piastra di appoggio. Dunque un albero raccordato con la macchina per dare una forma più familiare”.

CC: Idea venuta di getto?

AM: “Volevo, pensavo a una macchina per il caffè tecnica, perché il primo obiettivo è quello di preparare un caffè buono. Una bella macchina se prepara un caffè pessimo non va bene. Ma a questa funzione tecnica è deputata la parte inferiore. Sopra ci può stare l’alberello: una decorazione quasi frivola anche se in realtà non lo è, perché svolge pure delle funzioni e rompe un po’ lo schema immutabile delle macchine per il caffè tutta tecnica e niente poesia. L’alberello un po’ poetico lo è, richiama la natura, la terra, la piantagione dove cresce il caffè”.

CC: Quindi una pianta di caffè.

AM: “Certo può anche essere vista così. E la cosa che mi piaceva era di affermare che c’è una macchina tutta nera bianca o grigia, una macchina con bassi costi di costruzione. L’alberello offre la possibilità di cambiare continuamente l’aspetto della macchina, basta cambiare le tazzine, questo dipende dalla fantasia dell’utilizzatore,l’alberello e la macchina stessa avranno un immagine estetica. Il disegno della macchina lo faranno le tazze”.

CC: Una macchina camaleontica, una delle poche pensate per una funzione di stile. Sul mercato l’unico altro esempio di macchina pensata per le forme è, forse, la Francis Francis della Illy, disegnata dall’architetto Luca Trazzi. Come la vede questa macchina?

AM: “E’ una bella macchina che, al contrario della Totem/Totemina è pensata per la casa e coglie tutto quello che è il design di oggi. La Totem, per assurdo, è il contrario. E’ banalmente, ma volutamente, meno disegnata. Ma anche più originale. Mi permetta di dire che va contro le mode: materiali tutti trasparenti, forme arrotondate o al contrario con tanti spigoli. La Totem/Totemina ha una sua vita nell’ambito del design cosiddetto industriale. Sarà nuova anche tra 10 anni, sarà sempre attuale, non sarà vista come una macchina del passato. Perché il design industriale ha l’obiettivo di piacere nell’immediato, una forma bellissima ma destinata a passare in due, tre anni al massimo. Poi viene spiazzata da un altro disegno, dal gusto del momento. E’ PER questi aspetti, alla base del progetto, che posso dire che la Totemina è senza tempo, non stanca. E questo è quello che mi piace: un oggetto disegnato di meno ma che non subisce il tempo. L’alberello è, per assurdo, una cosa che nessuno ha mai disegnato eppure c’è da sempre”.

CC: Le macchine per il caffè sia quelle professionali sia quelle da casa assomigliano molto a scatole per scarpe o a cabine del telefono. Lei come si pone davanti a queste due definizioni?

AM: “Progettare una macchina non è facile perché ci sono tanti vincoli, dovuti alla tecnica e ovviamente anche ai costi. Cambiare una forma significa far costare molto di più l’oggetto oppure renderlo irrealizzabile, magari con una curva che impedisce la costruzione dato che molti dei componenti hanno dimensioni che non si possono ridurre. Così, per esempio, anche la Totemina avrebbe potuto essere diversa se avessimo potuto valorizzare in modo diverso il naso, quello che noi abbiamo chiamato naso. Poi lo abbiamo nascosto con la grande maniglia: lì ci sono il motore e il gruppo porta cialda. Più piccolo di così non si riusciva ed ecco la necessità di nascondere. Quindi i vincoli su queste macchine sono molto stretti, anche per le misure minime necessarie ad ospitare le tazze grandi o piccole”.

CC: Quindi è possibile progettare macchine da caffè che non siano scatole delle scarpe o cabine del telefono.

AM: “Certo, si riesce quando l’interlocutore è paziente ed entusiasta: investe di più sia nel progetto sia nella costruzione. In molto casi è necessario intervenire su parti meccaniche standardizzate e questo ha dei costi. Per la Totem è stato modificato qualcosa e si vede: siamo riusciti a cambiare un po’ la forma. In realtà la forma è molto semplice. E’ stato realizzato un ovale con la protuberanza per permettere l’ingresso della cialda. Più piccolo di così non si poteva. A meno di cambiare le misure delle cialde: farle più piccole con ulteriori problemi per l’estrazione ma soprattutto per la costruzione delle cialde medesime. Con la necessità di chiedere cialdatrici in grado di lavorare su misure differenti, non standard, persino dover modificare la scatola di cartone che contiene le cialde per la vendita. Ecco perché piccoli cambiamenti sulla macchina possono provocare grandi e costose modifiche a molte parti della macchina. Ecco spiegato perché molti costruttori puntano su forme classiche, meno costose di quelle innovative”.

CC: Qualcosa si muove. Oltre alla Totem c’è la Cimbali che ha affidato lo stile della Faema Emblema all’Italdesign di Giorgetto Giugiaro. E c’è la M39 che è apparsa a Host con un rivestimento preso dall’industria dell’auto quindi più morbido. Una novità.

AM: “Spesso basta cambiare i materiali oppure la trasparenza o meno di questi materiali per cambiare tutto l’oggetto. Sempre per stare alla scatola delle scarpe una nera ed un’altra realizzata con materiale semitrasparente la differenza balza subito all’occhio. Non sempre occorre cambiare tutto. Oppure usare materiali innovativi, mai usati prima per quel particolare oggetto per cambiare”.

CC: Totem l’albero dei risvegli: la protuberanza che avrebbe dovuto avere soltanto un impatto estetico ha poi finito per condizionare tutta la macchina anche nel nome.

AM: “E’ così. Sin dall’inizio l’idea era di realizzare un oggetto non identificabile immediatamente. Chi la vede può avanzare ipotesi sull’uso dell’oggetto Totem. In un altro approccio chi arriva con la cialda in mano per farsi un caffè nota la macchina, l’alberello con le tazzine. Non nel solito vassoio ma sospese come sono i fiori e le foglie. In quel momento la persona vive un piccolo sogno.
In realtà il caffè preparato con una macchina che fa anche sognare può risultare anche più buono. Inoltre il caffè è un piacere, se anche la macchina trasmette informazioni piacevoli e non è un pezzo di meccanica vestita, può scattare un attimo di poesia. Perché se pensiamo a tante, a tutte le macchina per preparare il caffè smontate su un tavolo, risultano indistinguibili. Sono tutte uguali: Saeco, Jura, ecc. La Totem è l’unica che si distingue: basta l’alberello che la rende riconoscibile. Io lo penso sempre. Lo stesso se rifletto sulle automobili: smontiamo tutte e chiediamoci “ma che automobile è questa?”. C’è però il frontale, sempre diverso e sempre più importante, che permette di distinguere sE E’ una Bmw, una Mercedes O una Fiat. Ecco, ci sono dei piccoli elementi che sono inconfondibili. E la Totemina ha come punto di riferimento l’alberello”.

CC: Il riferimento che lei ha fatto al cosiddetto family feeling delle automobili provoca un’ulteriore domanda: la Totem resterà unica o avrà dei parenti?

AM: “So che Majer ha in mente di farne una più piccola. La Totem è costruita anche attorno ad un serbatoio dell’acqua con una capacità di 3 litri. Tanto: più da piccola comunità o officio che da casa. Quindi arriverà una piccolina ridimensionata”.

CC: Diversa o uguale?

AM: “Dovrebbe essere uguale, sia pure in scala ridotta per farsi riconoscere come membro della famiglia Totem Tuttoespresso. Ovviamente proporzionata in modo differente. Perché non è detto che si possa ridimensionare il naso, dove va collocata la cialda. Andrà tutto ridimensionato perché chi vede entrambi i modelli li riconosca come un unico oggetto di disegno con dimensioni differenti”.

Forse sarà una sorpresa.



LA SCHEDA

CHI E’ L’ARCHITETTO ANGELO MICHELI

PROGETTISTA E DESIGNER DELLA TOTEM
Dai campionati di motocross alla progettazione

Con firme a opere importanti e alla macchina per il caffè

Angelo Micheli è nato nel 1959 a Crotta d’Adda, Cremona. A sedici anni si divide fra il motocross e opere in legno e poi diventa architetto. Dal 1986 è inseparabile socio dello studio di Michele De Lucchi, col quale collabora a numerosi progetti di rilevanza nazionale (coordinamento design Olivetti; re-design degli interni delle Poste Italiane; studio dell’immagine corporate di Banca Intesa, ecc.) e internazionale (oggetti per Pelikan; sistema di agenzie bancarie per Deutsche Bank, interni direzione Novartis; catena negozi Mandarina Duck, ecc.) Lavora con Luca Majer dal 1987, col quale ha sviluppato macchine per caffè per Rhea Vendors e Tuttoespresso.